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Puoi controllare la tua vita e essere felice. Dialogo con Kadija Al Salami

9 Dicembre 2015 by in category Interviste dal DAMS with 0 and 0
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Khadija Al-Salami è la regista del film I am Nojoom. Age 10 and divorced, in programma a Sottodiciotto Film Festival domani, giovedì 10 dicembre, alle ore 20.30. L’abbiamo incontrata oggi, al termine della sua Conferenza Stampa presso l’Hotel Victoria. Abbiamo scambiato quattro chiacchiere intense, precise e puntuali.

 

Chi è Nojoom? È un problema di cui nessuno di cui nessuno ha mai parlato?

Certo la storia di Nojoom, ma non solo la sua, è un problema che la gente non vuole vedere e di cui non vuole parlare. Però questo grande problema esiste davvero. In Yemen il 52% delle giovani donne viene data in moglie sotto i 18 anni, ma questo non accade solo in Yemen in cui si ambienta la storia anche in tutti gli altri Paesi nel mondo accade lo stesso.

Cosa si aspetta di ricevere raccontando la storia di Nojoud Ali sul grande schermo?

Per prima cosa mi aspetto di condurre la gente a riflettere su questo argomento. Spero di far saltare fuori dai loro nascondigli le donne che temono la propria famiglia e di fargli capire che possono cercare una soluzione. Devono chiedere aiuto alle associazione e alle donne attiviste, perché loro sanno che è un reato. Questo è il sogno che spero si avveri.

Data l’attuale situazione di guerra, come viene affrontato adesso il problema delle spose bambine in un mondo di fumo e macerie?

Beh, prima della guerra tutti gli attivisti spingevano verso la creazione di una legge che proibisse i matrimoni forzati dei minori. Gruppi di attivisti andavano nei villaggi e cercavano di spiegare il problema alla gente, spiegando che per le bambina questi matrimoni hanno delle ripercussioni fisiche- 70.000 spose bambine sono morte per lesioni o malattie interne-, emotive e psicologiche. Insomma era un lavoro dal basso verso qualcosa di grande. Si iniziavano ad avere dei risultati la gente si informava e ne parlava pur non sapendo ne leggere ne scrivere, ma scoppiò la guerra. Adesso è questo il più grande problema. Adesso vengono violati i diritti umani di tutta la popolazione civile, non solo quelli del spose bambine, e questo prende la priorità. Non lottano per ideologie, ma per sopravvivere.

In quale modo racconta la sua lotta per i diritti e per il suo futuro nel film? E nella vita di tutti i giorni?

Per prima cosa quando la tua vita ti rende infelice, devi cambiare. Bisogna cambiare se stessi, è difficile e faticoso, perché ti scontri con i valori tradizionali ma se vuoi vivere lo devi fare.  Io vengo da una buona famiglia e sono stata educata, mia madre non ha ricevuto un educazione, ero circondata dai famigliari ma quando ero bambina e ho capito che ero infelice ho detto basta. Ho dovuto lottare e aspettare molto tempo prima di far capire a mia madre che quello che facevo era giusto. Quando ricevi un’educazione diventi indipendente non solo da un uomo ma da chiunque. Dipendi solo da te stessa. Devi crederci e ricordarti che niente è impossibile. Questo ricordalo bene anche tu. In questo modo puoi controllare la tua vita e essere felice. Nel film il finale dove l’istruzione rappresenta la liberà è la mia storia, la mia vittoria nella vita.

Quale messaggio vuole lasciare alle donne e giovani donne che fuggono dai mariti e dalle guerre?

Il messaggio che voglio lasciare è quello di prendersi cura di se stessi e riuscire a controllare la propria vita. Provare a cercare una soluzione per loro stesse. Bisogna affrontare questo ostacolo, perché spesso la gente dice ‘ci sono tanti problemi al mondo, non me devo occupare personalmente’ e preferisce distrarsi. Possiamo superare l’ostacolo, possiamo trovare una soluzione. Possiamo cambiare le cose.

 

Camilla Cantafaro

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